E’ come quando si comincia un romanzo. La pagina è bianca. Tutto può essere detto ma poi alla fine il segreto di ogni letteratura è solo il non detto.
Le mie giornate ormai da molte settimane cominciano così. Intorno una nebbia sottile ma fitta, basta un movimento più intrepido del solito della mano per cacciarla lontano da dove è venuta. E allora il giorno ricomincia per me in quel momento, quando il pulviscolo del dolore si è rarefatto momentaneamente per lasciare spazio al giorno, con il suo dosato carico di azioni, funzioni, pensieri, illusioni. A piccole dosi consumo il mio tempo accanto a te, e in cuor mio spero sempre di non sbagliare le quantità perchè non so allora come reagirei. Vorrei rimanere a letto la mattina, sprofondare nella menzogna di un sonno antico, lasciarmi frastornare dai complessi scenari dei sogni in cui una parte di me è davvero padrona di tutto.
E durante la giornata mi accorgo di quante banalità io dica, scriva ma soprattutto pensi. E scopro che il male rieduca alla banalità, conferendola quel valore portante dell’esistenza di tutti. E’ banale dire e pensare che è bellissimo vivere e frutto di una preziosa quanto oscura alchimia che ogni giorno rinnova un patto ignoto. E banale dire che davanti a me in ospedale sfila ogni mattina un campionario di dolore dove ognuno non riesce a trovare una collocazione e alla vista del quale bisognerebbe ribellarsi andandosene sdegnati. E’ banale dire che per te che mi sei padre provo un bene immenso quanto il dolore che potrebbe generare la tua perdita. E’ banale. Ma sono solo questi pensieri che mi permettono di dare un senso alla mia vita adesso. Scarnificata di tutto è questo ciò che rimane fra le mie mani. E non ha la consistenza della sabbia. Siamo banali nel nostro essere macchine complesse. E lo siamo tutti.
mercoledì 6 gennaio 2010
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