sabato 17 aprile 2010

IL TESORO DI GADDA

DA L'ARENA.IT

Carlo Emilio Gadda (a destra) con il fratello Enrico in una foto che sarà esposta oggi a Palazzo Bottagisio Villafranca. Lo chiamavano il Grande Lombardo perché era nato a Milano e perché, grande, lo era davvero.


L'archivio di Gadda, tesoro ritrovato

ESCLUSIVO. Oggetti personali, lettere, disegni, foto: il Grande Lombardo lasciò tutto alla governante Giuseppina Liberati, zia dell'attuale proprietario del materiale. Custodito a Villafranca dal bancario-studioso Armando Liberati sarà esposto oggi, in anteprima, alla mostra di «Linguafranca»
Carlo Emilio Gadda è uno degli eccelsi scrittori italiani contemporanei. Tanto grande quanto dimenticato. L'Italia ha la memoria corta e gli italiani, si sa, leggono poco o nulla. Figurarsi se conoscono l'autore di libri che fanno riflettere sull'uomo, sulla sua fragilità e sulla sua condizione. Lui lo sapeva e non si faceva illusioni. «Gli italiani generosissimi in tutto», scrisse una volta, «non sono generosi quando si tratta di pensare».
Nato a Milano nel 1893 in una famiglia borghese, morì a Roma nel 1973. Tra una data e l'altra visse in Argentina, Belgio, Sardegna, Firenze. Dopo la grande guerra per la quale partì volontario - fu sottotenente nel 5° battaglione alpino Valchiese - trascorse un periodo in Germania, in un campo di prigionia vicino ad Hannover. La sua tomba è a Roma, nel cimitero degli inglesi, accanto a quella di Shelley, ma gran parte della sua vita riposa ora a Villafranca in attesa di riemergere da alcuni bauli: lettere, documenti, disegni, quadri, attestati di premi letterari, onorificenze, fotografie, bozze dei romanzi corrette e ricorrette, oggetti personali… Una messe di materiale che permetterà di riscrivere non solo la vita di questo genio letterario ma di rivedere e analizzarne in profondità l'opera.
L'EREDE. Dopo una serie di passaggi ereditari tutto questo materiale è finito nelle mani del villafranchese Arnaldo Liberati, funzionario di banca e uomo di studio ben conscio della ricchezza culturale che ha ereditato. Autore di molti libri sull'epopea napoleonica (tra gli altri «Napoleone a Verona», «Ufficiali veronesi nell'armata napoleonica», «Cielo cupo, cielo di tempesta», «Marianne, donne di Francia»), Liberati è pronto a mettere l'archivio di Gadda a disposizione di chi vuole dedicarsi allo studio del Gran Lombardo. «Considero questo materiale patrimonio di tutti», dice, «io ne sono solo il custode temporaneo. Prima di me lo custodiva mio padre Giovanni morto due mesi fa. Papà ne era piuttosto geloso, ma anche lui riteneva inutile che rimanesse chiuso nelle casse. Ho già iniziato a esaminarlo e dividerlo per argomenti. Posso anticipare che è davvero molto importante. Gadda, che si definiva "archiviomane" conservava tutto. Non buttava niente».
L'ARCHIVIO. La corrispondenza è infinita: lettere dalla prigionia, alla madre e ai fratelli Enrico e Clara, alle case editrici, ad Arnoldo Mondadori, a Bonaventura Tecchi, ad Arbasino... E poi le sue opere. Ci sono le minute delle bozze corrette di sua mano. Le prime stesure e quelle definitive. Da questo materiale si può ricostruirne la vita, la psicologia, lo spessore culturale. Qui c'è la grandezza di Gadda, la sua persona, l'anima di scrittore.
LA MOSTRA. In attesa di catalogare il «tesoro» gaddiano per metterlo generosamente a disposizione di tutti, Liberati ne offre, oggi, un anticipo: ha prestato lettere ed altro materiale alla manifestazione letteraria Linguafranca che ha organizzato una mostra con il patrocinio del Comune in Palazzo Bottagisio. L'inaugurazione è oggi alle 15. Sarà lo stesso Liberati a spiegare come l'archivio di Gadda è approdato a Villafranca. «La storia è molto semplice», racconta, «Gadda volle che alla sua morte fosse zia Giuseppina, sua governante e sorella di mio padre, a ereditare diritti e archivio. Quando nel 2000 il Comune di Milano reclamò le spoglie dello scrittore entrando in conflitto con Roma, fu lei, custode delle memorie e della volontà dell'autore della «Cognizione del dolore» e di «Quer pasticciaccio brutto de via Merulana» a testimoniare che Gadda voleva essere sepolto a Roma, nel cimitero del Testaccio. E quando lei morì nel 2003 i bauli con le memorie dello scrittore toccarono a mio padre e, alla sua morte, a me. Nell'abitazione romana di via Blumensthil 19 Gadda viveva solo. Il fratello Enrico, pilota nella Grande Guerra, era caduto con il suo aereo nel 1918, la sorella Clara, maritata Ambrosi, viveva qui vicino, a Villa Ambrosi di Castelnuovo. Molta corrispondenza è indirizzata lì.
LE LETTERE. Sono centinaia le lettere scritte. Lo scrittore era molto preciso. Correggeva più volte le minute. Moltissimo ha scritto dall'Argentina dove era ingegnere di una ditta che fabbricava, tra l'altro, fosforos, fiammiferi. Si era laureato in ingegneria per volere della madre, Adele Lehr, un'ungherese autoritaria. Il rapporto conflittuale con la madre lo si vede riflesso nelle sue opere, soprattutto nella «Cognizione del dolore». Gadda, che avrebbe voluto studiare filosofia e letteratura, appena potè abbandonò la professione e si dedicò completamente alla scrittura. Il volume di racconti «L'Adalgisa» è del 1944. Nel 1950 cominciò a lavorare per la Rai.
GLI OGGETTI. «Tra gli oggetti conservati nei bauli», continua Liberati, due lauree (in Economia e commercio e in Scienze politiche), «c'è anche la sua macchina per scrivere, un modello assai vecchio, il suo rasoio e i suoi bastoni di montagna. Ci sono le foto di lui in trincea, durante il conflitto ‘15-'18. Tutto materiale da studiare. Inutile tenerlo nelle casse. Io lo incontrai una volta, ero bambino e non ricordo nulla. Papà Giovanni, invece, lo conobbe bene. Diceva che era un genio. Basta leggerne i libri per averne conferma. Leggendo la sua corrispondenza mi sono fatto l'idea di un personaggio molto solo. Triste? Non lo so, penso di sì. La solitudine è l'anticamera della tristezza. Controverso lo era di sicuro. Viveva grosse contraddizioni all'interno di se stesso. Come tutti i geni».
Morello Pecchioli

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